lunedì 21 marzo 2011

n.8 [l'eternità attraverso il momento] Sebastiao Salgado.

La miniera d'oro di Sierra Pelada, Brasile. 1986
State avvicinando lo sguardo verso il monitor, strizzate gli occhi, cercate di realizzare cosa sono quelle macchioline scure che si affollano in un apocalittico formicaio.
Sono uomini in una miniera d’oro in Brasile.
Seguite la macchina fotografica che va alla ricerca della luce della vita umana, per svelarla con tragica intensità, con dolente tenerezza.
Seguite il minatore in cammino verso la sommità del monte  che si appoggia, per riposare, alla sua croce.
Religiosi o no, con la miseria della Serra Pelada, Salgado prende a bastonate la nostra coscienza perchè, leggete la data sotto la foto, questa scena da girone infernale è reale e sta accadendo adesso.


Terra. Acqua. Aria.Fuoco.
La potenza degli elementi è la potenza delle immagini di Salgado.
Ma sopra tutte, Salgado porta la potenza della massa; non della massa vittoriosa, quella della retorica socialista, ma la massa degli sconfitti.
La forza concettuale di un romanzo di Verga espressa con la violenza espressiva e sublime di cui solo una fotografia è capace.

Questo è Sebastiao Salgado, che nasce in Brasile nel 1944 e neanche farlo a posta, questo moderno Marx, studia economia prima nel suo paese poi a Parigi. É forse proprio per questa comprensione del momento storico e delle sue profonde dinamiche socio economiche, che questo fotogiornalista è riuscito a saldare le proprie fotografie alla realtà, alla storia, elevandole a emblemi dell’esistenza umana.
“salgrado fotografa la gente - dice Eduardo Galeano- i fotografi occasionali fotografano i fantasmi”

È per caso che Salgado si trova a Londra nel 71 a lavorare per l’industria internazionale del caffè ed è ancora per caso che l’anno seguente gli capita in mano la Leica di sua moglie, venendo così folgorato dalla consapevolezza che quella macchina fotografica era il mezzo perfetto per conoscere e far conoscere: è così, per caso, che Sebastiao Salgado inizia la sua carriera che lo porterà ad essere uno dei più grandi (sicuramente il più premiato, prolifico e socialmente impegnato) tra i fotoreporter contemporanei.


“Io fotografo come il mio paese mi ha insegnato a guardare. Ad esempio, fotografo moltissimo in controluce.[...] A casa mia, quando ero piccolo, per otto mesi l’anno vivevamo la terribile siccità, con un sole abbagliante da spaccare le pietre. Ma ha anche la pioggia mi ha influenzato. Nel mio paese ogni anno, dopo la siccità e il caldo, arrivava la stagione delle piogge: In quei mesi tutto appariva bianco e nero.”


“io cerco l’uomo nelle mie foto, al fondo di tutto.”



“a volte la gente mi chiede come mai io fotografi sempre i miserabili... Ma i soggetti delle mie immagini sono semplicemente persone che hanno meno mezzi materiali a disposizione. Non si tratta di poveri, ma di gente con una dignità, una profonda nobiltà.”


concludo con una frase emblematica di Eduardo Galeano:
“Queste fotografie continueranno a vivere ben oltre i loro soggetti e l’autore, poichè attestano la nuda verità e l’occulto splendore del mondo. Mostrano che, nascosti nel dolore della vita e nella tragedia della morte, vi sono una possente magia e un luminoso mistero in grado di redimere l'avventura umana nel mondo."


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