mercoledì 27 luglio 2011

la scoperta è sempre uno stupro del mondo naturale. sempre.

"Quello che interessa veramente agli scienziati sono i risultati. se non fossero loro a farlo, sarebbe qualcun altro. la scoperta, credono, è inevitabile. così cercano semplicemente di essere loro a farla.
ecco il gioco della scienza. anche la pura scoperta scientifica è un atto aggressivo, penetrante: cambia letteralmente il mondo. gli acceleratori di particelle feriscono la terra e lasciano scorie radioattive. gli astronauti lasciano rifiuti sulla luna.
La scoperta è sempre uno stupro del mondo naturale. sempre.
C'è sempre una prova che gli scienziati sono stati là. vogliono che sia così. devono piantarci i loro strumenti. devono lasciare il loro marchio. non possono limitarsi ad osservare. non possono limitarsi ad ammirare. non riescono ad adattarsi semplicemente all'ordine naturale. devono far accadere qualcosa di innaturale.
Questo è il lavoro degli scienziati."

venerdì 22 aprile 2011

assignment 6.2 scienza e filosofia

cos'è la scienza? qual'è il suo significato? qual'è la sua valenza conoscitiva? quale deve essere il metodo per che essa porti il maggior progresso possibile?
per rispondere a queste domande approfitto di uno spunto, dell'asist che iamarf mi fa qui:
"La conoscenza scientifica non si basa su singoli risultati ma sul fatto che un certo esperimento, replicato da ricercatori diversi in laboratori diversi, dia sempre gli stessi risultati. La conoscenza scientifica non è mai definitiva. Può solo consolidarsi con il tempo, tramite la replicazione degli esperimenti diretti e la conferma di altri esperimenti che su quei primi risultati si poggiano. La conoscenza scientifica può solo consolidarsi ed è sempre a rischio. Anche dopo una messe di conferme basta un solo risultato negativo a rimettere tutto in discussione. È un fatto che accade normalmente. Di solito questi eventi traumatici si risolvono nella definizione di un certo campo di validità della conoscenza precedente e nella nascita di un nuovo e più ampio dominio nel quale valgono altre leggi più generali."

Karl Popper  fu un filosofo del XX secolo che si occupò soprattutto di epistemologia definendo cosa fosse la conoscenza e riflettendo sul valore conoscitivo della scienza. quello che è centrale in Popper , oltre al concetto secondo cui una conoscenza assoluta è irraggiungibile,  è il suo razionalismo critico per il quale "nulla deve esser considerato esente da critica". 

ma come arrivò Popper a questa concezione? egli rimase colpito dal lavoro di Einstein, non tanto per la genialità di questo, ma per il fatto che egli avesse formulato tutte le sue teorie in maniera "rischiosa" , ovvero che queste non fossero state formulate in vista di facili conferme sperimentali  ma in vista di possibili smentite. Einstein aveva soverchiato la supremazia della fisica newtoniana con una metodo che da popper sarà definito falsificazionista, metodo che sfata il mito millenario del verificazionismo, secondo cui una teoria è tanto più vera, più scientifica, tanto più può essere verificata.  

per comprendere meglio il limite del modello verificazionista  neopositivista ci viene in aiuto con un semplice aneddoto un altro, più recente filosofo, Bertrand Russell.
un tacchino di un allevamento statunitense decise di formarsi una visione del mondo di tipo empirista:
<<Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni le più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Purtroppo, però, questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.>>
(wikipedia)

per verificare completamente una legge dovremmo quindi avere presente tutti i casi e ciò non sarà mai possibile, per ciò un modello come questo non può essere il metodo che deve seguire una scienza.
la falsificabilità è quindi etimologicamente superiore alla verificabilità in quanto un numero enorme di conferme, come abbiamo detto, non rende certa una teoria ma basta un solo fatto negativo per smentirla (potrò osservare per giorni  cigni bianchi in un fiume ma non sarò mai in gradi di formulare come assolutamente vera la frase "tutti i cigni sono bianchi" ma mi basterà vederne solo uno nero per poter proclamare un principio più generale: "i cigni non sono tutti bianchi").

se quindi quello che possiamo imparare dall'esperienza non è la veridicità di un'ipotesi, allora cos'è?  Popper risponde semplicemente <<la falsità di un'ipotesi>>.


non esiste quindi una conoscenza assoluta, ma solo una conoscenza per ipotesi 
<<la scienza non è il mondo della verità (certe e definitivamente veri-ficate), ma l'universo delle ipotesi (per il momento non ancora falsi-ficate)>>.


qui sta il progresso scientifico; un'ipotesi è tanto più scientifica tanto più può essere falsificata, ovvero confutata, da questa in seguito a opposizioni si creeranno teorie ancora migliori, tutte possibili oggetti di smentite che a loro volta genereranno teorie ancora più "scientifiche" e così via. perciò le ipotesi non potendo venire verificate possono tutta via essere corroborate e divenire quindi, non più vere, ma preferibili rispetto ad altre.

esiste quindi un metodo per giungere a delle teorie scientifiche.
popper ritiene che le iniziali ipotesi siano frutto di <<congetture audaci e intuizioni creative>> riconoscendo un genio irrazionale alla base della scienza. ma rendere un ipotesi propriamente scientifica, questa deve passare attraverso un processo di controllo, un metodo, che renda la scienza da irrazionale a razionale.
questo metodo scientifico è quello lasciatoci in eredità oggi: il metodo per prove ed errori (trial and error) che, secondo il filosofo, si configura come diretto prolungamento culturale del naturale processo di adattamento e sopravvivenza della specie.
in conclusione Popper, con la sua valorizzazione epistemologica e pedagogica, legittimò filosoficamente un pilastro della nostra attuale concezione scientifica ovvero che l'errore è parte integrante del sapere scientifico, al punto che fare scienza significa, in concreto, incorrere in sbagli e imparare dai propri errori.

assignment 6.1 letteratura scentifica

la conoscenza oggi ha mutato i suoi tratti, guadagnandosi  attributi come istantanea, globale (e globalizzata), multilinguista e così via.
quella di oggi è una conoscenza  estremamente ultraspecializzata e frammentata in una moltitudine di "sottoscienze" per propria natura elitarie e per ciò drammaticamente privilegio di pochi.
per fare un esempio, difficilmente uno pneumologo potrà comprendere completamente un articolo di radiologia sulla diagnosi delle mtastasi renali.
ci sfugge quante menti e quanti protocolli si nascondono dietro al "semplice" processo di diffusione e transizione del sapere.

la letteratura scientifica è il principale metodo attraverso cui fluisce la conoscenza: il modo attraverso cui questa circola, si diffonde e diventa fruibile per chiunque abbia le competenze per comprenderla, in qualsiasi regione del mondo si trovi.
il frame della letteratrura scientifica è estremamente complesso ma un ruolo fondamentale è da attribuirsi al metodo di peer-reviewing per la garanzia della qualità: un sistema di revisioni tra pari è sicuramente il più indicato per il controllo di articoli così specialistici.
centrale è la responsabilità che concerne la funzione di questo sistema: la pubblicazione su una rivista "legittimizza" nuova materia di conoscenza. qui si crea il sapere.
ma c'è anche un'altra responsabilità, più "umana", specialmente in ambito medico: un semplice "paper"    annuncia di fatto all'umanità la scoperta di nuove tecniche, terapie, trial clinici, di soluzioni efficaci per particolari patologie.
per essere più chiari, in questo momento ci sono uomini e donne, persone malate, che stanno aspettando il nuovo numero di "......." in attesa di leggere che la soluzione al loro male esiste ed è stata scoperta.  comprendiamo automaticamente che tra i limiti del peer-reviewing assume una dimensione drammatica quello del tempo o, più esattamente, del "tempismo".

i tempi medi di revisione vanno spesso oltre i dodici mesi e ci sono persone per cui un anno di tempo fa la differenza. di questo però non possiamo accusare i reviewer, professionisti del settore che quindi non possono e non devono dedicarsi alla sola revisione ma al loro lavoro e al loro aggiornamento.

la domanda quindi sorge spontanea: meglio un anno e una terapia che funziona sicuramente o meglio un mese e una terapia che potrebbe non funzionare? in ambito scientifico si risponde senza remore con la prima soluzione: la conoscienza per essere tale deve essere certa. non possiamo dare inizio a una serie di approssimazioni in ambito scientifico, è vero, ma non possiamo comunque fare a meno di vagare col pensiero a quelle persone per cui 365 giorni significano la vita o la morte.

Sono i criteri di pubblicazione invece a d essere difficilmente giustificabili: in base a cosa una articolo viene pubblicato da una rivista e da un'altra rifiutato? se ci pensiamo bene è un paradosso: se la conoscenza deve essere certa e universale per essere tale, allora perchè per una rivista una determinata scoperta lo è e per un'altra no? si tratta solo di scetticismi umani o di più umani interessi interposti?
è quindi proprio con il conflitto di interessi che il meccanismo conoscitivo si inceppa o almeno devia da un percorso "democratico" che per natura lo caratterizza.

martedì 19 aprile 2011

Assignment 4: delicious...peccato non sia utile quanto delizioso!

social bookmarking..la mia opinione è che il boom di facebook abbia messo troppa pressione a chiunque oggi crei un sito: tutto deve essere per forza "social" sennò non è cool..non sono d'accordo.
ci sono cose come il bookmarking che sono fatte per essere limitate e veloci. questo ennesimo "social" davanti all'ennesimo neologismo "segnalibrare" mi sembra solo un grattare audience senza offrire un servizio sostanzialmente utile ed innovativo.

è antipatico e quasi sempre sbagliato essere così sentenziosi, lo so, ma mi sento forte di essere un utente internet medio, da ragazzo ventenne e "smanettone" quale sono; credo che le mie esigenze rispetto al web rappresentino sicuramente quelle di un buon 50% dell'utenza internet generale.

interroghiamoci sul perchè registriamo i nostri 5,6,7 siti abituali sulla sidebar del nostro browser: se sono abituali vuol dire che li conosco fin troppo bene e quindi il mio problema non è quello di cercarli ma è invece quello di arrivarci velocemente.

ok mi direte,  e per i siti nei quali siamo incappati e vogliamo conservare e farne un'eredità per sempre? possiamo farlo su delicious vero. ma anche un più immediato copia incolla dell'URL su una pagina di google docs? ah già il copia incolla è un po' faticoso su google docs, ce lo ricorda picchio...

francamente mi sembra un complicarmi la vita, che sul web è spontaneamente semplice! se devo cercare un sito, tanto vale che usi google. ci basta ricordare una parte dell'URL o un elemento della pagina del sito su cui eravamo stati per trovarla col nostro motore di ricerca.
 la verità è che la rete è fatta per essere navigata e  l'unico porto fisso di cui abbiamo bisogno è proprio il motore di ricerca.

abbiamo parlato di velocità: può corrispondere alle mie esigenze di "velocità" una raccolta di bookmarks a cui devo già arrivare attraverso un indirizzo, oppure un segnalibro sulla mia sidebar (paradossale no?).
ok sono entrato su delicious. eseguo il login. mi si apre una pagina che nel tempo ho riempito di link inutili. panico: e ora? niente paura, delicious mi viene in aiuto con la sua ricerca per tag (come se tra i mille dolcetti ricercassi quelli a cui ho associato quel sapore)..che carino!
si, che carino, ma finisce lì.
nel fare questo ho già perso più 5 minuti e la mia pausa caffè ne dura 10.

per ora ti boccio delicius, ma nel caso le mie esigenze mutino rispetto a quelle della maggioranza dei net surfers ti tengo in mente; male che vada ti cerco su google (il tuo nome o qualcosa a cui ti associo) e ti ritrovo in un lampo!

giovedì 7 aprile 2011

n.10 CATACLISMA



succedeva due anni fa, il 6 aprile 2009.


Il ragazzo aveva lo sguardo perso fuori del finestrino. il pulmino correva veloce lasciandosi dietro quello che avrebbe potuto essere l’inferno in terra.
Non poteva fare a meno di pensare alle prime impressioni quando era arrivato all’Aquila: si era aspettato di trovare una città fantasma, distrutta, devastata, priva di vita. Quel movimento tutto intorno gli era sembrato quasi inopportuno e lo aveva persino irritato per aver tradito le sue fantasie. Si ricordava molto traffico, traffico che poteva sembrare quello di una caotica città che si avvicinava all’ora di pranzo di un venerdì qualunque, ma osservando con più attenzione il ragazzo si era accorto che quasi tutti i veicoli erano dei soccorsi, dei pompieri o della protezione civile. Lì, due settimane prima, la terra si era aperta e aveva fagocitato ingorda varie città: un’ecatombe di trecento vite. Davanti a quella città che si apriva, o per meglio dire si spaccava davanti a lui, pensò al misero aiuto che poteva dare e che sarebbe stato, se non inutile, quantomeno trascurabile.
“SIAMO SCOSSI MA NON MOLLEREMO MAI”
L’Aquila accoglieva con questa frase i visitatori: lettere che, scritte a bomboletta su un muro all’uscita dell’autostrada, sembravano tracciate con una vernice che aveva il potere di tingere, macchiare, anche l’anima oltre che l’intonaco.

L’inquadratura forzata del finestrino, sadica, costringeva un’ultima volta lo sguardo a dedicarsi al resto del paesaggio che scorreva davanti:
insegne storte, negozi chiusi, crepe che correvano da casa a casa, in una gara concitata lungo le vie. Le mura antiche della città, che avevano resistito ai secoli, erano state vinte in soli 30 secondi quella tragica notte. Palazzi condominiali lasciavano intravedere dalle voragini sulle pareti esterne pezzi di stanze, vetrine su quelli che fino a poche settimane prima dovevano essere stati luoghi di famiglia, di casa, di felicità: il ragazzo si sentiva un po’ a disagio, quasi li stesse spiando, ma di fatto erano lì davanti a tutti, come quella città disastrata.
Un terremoto si dice colpisca “a macchia di leopardo”, per questo alcuni paesi erano stati risparmiati rispetto ad altri, ma non era difficile trovare una casa intatta accanto ad una crollata: lì, pensò il ragazzo, c’era qualcosa che non andava nel modo di costruire, ne era la prova l’ospedale completamente inagibile: ora al suo posto c’era una tendopoli. Le aveva conosciute bene quelle tende e ora l’odore di amuchina invadeva le sue narici, attore ineccepibile nella commedia dei ricordi. Si ricordava poi l’impressionante via-vai di ambulanze, ed impressionante era la varietà e la quantità delle città che le avevano prestate alla causa dei soccorsi.

Il pulmino si fermò, costretto dalla fila e il ragazzo potè soffermarsi a guardare un dottore che fumava distratto una sigaretta; sembrava attaccarsi a quella come fosse l’unico contatto con la vita che aveva prima. Profondi solchi gli incorniciavano gli occhi, lo sguardo sembrava perso nel vuoto, forse ormai troppo stanco per fissarsi su un punto preciso, o forse troppo stanco del mondo che vedeva. Distanti come lo sguardo erano la mente e l’animo, tanto che non sembrava essersi nemmeno accorto del ragazzo che lo fissava attento: davanti a lui c’era un uomo ricoperto da strati e cumuli di oneri, preoccupazioni,tragedie e paure: le sue condizioni erano testimoni incorruttibili dei suoi sacrifici e raccontavano quelle settimane di continua lotta.

Distogliendo lo sguardo, il ragazzo tornò a pensare alla situazione che, dovendo a malincuore tornare alla sua vita, si stava lasciando alle spalle. Quello dove lui aveva passato quei giorni surreali era il campo di Centi Colella che costituiva la seconda tendopoli per grandezza: un’estensione d’innumerevoli brande, 8 docce e 4 bagni diventati essenziali per le mille anime che abitavano il campo. Centi Colella si trovava a solo un chilometro dal centro ormai blindato e reso inaccessibile da continui presidi militari: della parte antica dell’aquila i, restava ormai solo il ricordo degli abitanti.
Il compito del gruppo di cui faceva parte era consistito nel garantire un’ambulanza ventiquattrore su ventiquattro. Gli ordini erano di trattare i pazienti il più possibile sul posto e ricoverare solo se necessario perchè l’ospedale disponeva solo di 80 posti letto. Quando non era stato di turno si era occupato dell’infermeria aiutando il medico, o aveva dovuto raccogliere le ricette delle persone che non avevano più una macchina per spostarsi alla ricerca di una farmacia.
Non riusciva a non ripensare a quella gente: era difficile dire che si trattasse di terremotati. All’inizio il ragazzo non aveva potuto fare a meno di pensare che quelle persone che gli sorridevano ospitali, prese nelle loro conversazioni, venissero da fuori; ma si era accorto quasi subito che era impossibile perchè le persone che realmente non venivano da quelle zone, all’Aquila vestivano in maniera diversa: divise rosse, arancioni, gialle, turchesi erano lì ,accanto alla gente, disponibili le dedicavano tutte le loro energie.

La conclusione del suo viaggio portava con sè una consapevolezza: le persone dopo tutto erano buone, l’aveva visto lì, giorno per giorno, aveva visto cosa il terremoto aveva saputo tirar fuori dalla gente, lui ne era stato testimone e tornava a casa arricchito in maniera indescrivibile a parole.

Il pulmino continuò la sua corsa, ormai già in autostrada. Il ragazzo lasciò correre anche lui i suoi pensieri scivolando in un profondo sonno.

domenica 27 marzo 2011

n.9 [keep it trash] Kyliecious

Torniamo alla rubrica più seguita del fondo del barattolo, con un revival da popcorn e scatola di fazzoletti!
Noi la conosciamo per hits di ampio spessore culturale come Can't Get You Out Of My Head (confermo i vostri timori: nel tempo  che avete impiegato a pronunciarlo tutto avreste potuto finire il programma di anatomia 1) o All The Lovers (dove Kyle lanciando bianche colombe pasquali, guida orgioni di corpi accatastati che assumono volumi poligonali, spingendosi oltre l'altezza dei grattacieli newyorkesi. un genio insomma) e molti altri bassi momenti della musica internazionale..
La verità però, è che i suoi natali sono molto più elevati delle perle riportate qua sopra, e che molto vi è da grattare dal fondo di questo barattolo:
vi presentiamo oggi, in tutti i suoi 152 cm (la potete  quindi tranquillamente imbarcare nei voli Ryanair come bagaglio a mano), la poliedrica ed eclettica Kylie  Minogue back to the origins!
Mi permetto di anticipare le vostre domande: no, non è un video amatoriale di un'impostora dal bigodino facile, è lei in carne (poca) e ossa (brevi).
un giovine fiore che sboccia in tutta la sua animosa verve, completamente a suo agio nelle rarefatte atmosfere dell'ultimo ventennio dello scorso secolo.
La domanda sorge spontanea: se già nel 1987 questa cantante tascabile infestava gli schermi televisivi con "Loco-motion" e "I Should Be So Lucky", qualè la percentuale di botox nel nuovo album Aphrodite (2010) ?

Dato che comprendo che una volta finito di guardare questi portentosi videoclips la vostra voglia di possederla e di assomigliare a lei sarà irrefrenabile, per evitare che possiate realmente provare a farvi quelle improbabili acconciature per poi varcare la soglia di casa vostra, vi comunico che è possibile acquistare da oggi, solo presso i migliori rivenditori, la riproduzione a grandezza naturale della diva australiana.
come on everybody do the loco-motion!


lascia un'offesa!

lunedì 21 marzo 2011

n.8 [l'eternità attraverso il momento] Sebastiao Salgado.

La miniera d'oro di Sierra Pelada, Brasile. 1986
State avvicinando lo sguardo verso il monitor, strizzate gli occhi, cercate di realizzare cosa sono quelle macchioline scure che si affollano in un apocalittico formicaio.
Sono uomini in una miniera d’oro in Brasile.
Seguite la macchina fotografica che va alla ricerca della luce della vita umana, per svelarla con tragica intensità, con dolente tenerezza.
Seguite il minatore in cammino verso la sommità del monte  che si appoggia, per riposare, alla sua croce.
Religiosi o no, con la miseria della Serra Pelada, Salgado prende a bastonate la nostra coscienza perchè, leggete la data sotto la foto, questa scena da girone infernale è reale e sta accadendo adesso.


Terra. Acqua. Aria.Fuoco.
La potenza degli elementi è la potenza delle immagini di Salgado.
Ma sopra tutte, Salgado porta la potenza della massa; non della massa vittoriosa, quella della retorica socialista, ma la massa degli sconfitti.
La forza concettuale di un romanzo di Verga espressa con la violenza espressiva e sublime di cui solo una fotografia è capace.

Questo è Sebastiao Salgado, che nasce in Brasile nel 1944 e neanche farlo a posta, questo moderno Marx, studia economia prima nel suo paese poi a Parigi. É forse proprio per questa comprensione del momento storico e delle sue profonde dinamiche socio economiche, che questo fotogiornalista è riuscito a saldare le proprie fotografie alla realtà, alla storia, elevandole a emblemi dell’esistenza umana.
“salgrado fotografa la gente - dice Eduardo Galeano- i fotografi occasionali fotografano i fantasmi”

È per caso che Salgado si trova a Londra nel 71 a lavorare per l’industria internazionale del caffè ed è ancora per caso che l’anno seguente gli capita in mano la Leica di sua moglie, venendo così folgorato dalla consapevolezza che quella macchina fotografica era il mezzo perfetto per conoscere e far conoscere: è così, per caso, che Sebastiao Salgado inizia la sua carriera che lo porterà ad essere uno dei più grandi (sicuramente il più premiato, prolifico e socialmente impegnato) tra i fotoreporter contemporanei.


“Io fotografo come il mio paese mi ha insegnato a guardare. Ad esempio, fotografo moltissimo in controluce.[...] A casa mia, quando ero piccolo, per otto mesi l’anno vivevamo la terribile siccità, con un sole abbagliante da spaccare le pietre. Ma ha anche la pioggia mi ha influenzato. Nel mio paese ogni anno, dopo la siccità e il caldo, arrivava la stagione delle piogge: In quei mesi tutto appariva bianco e nero.”


“io cerco l’uomo nelle mie foto, al fondo di tutto.”



“a volte la gente mi chiede come mai io fotografi sempre i miserabili... Ma i soggetti delle mie immagini sono semplicemente persone che hanno meno mezzi materiali a disposizione. Non si tratta di poveri, ma di gente con una dignità, una profonda nobiltà.”


concludo con una frase emblematica di Eduardo Galeano:
“Queste fotografie continueranno a vivere ben oltre i loro soggetti e l’autore, poichè attestano la nuda verità e l’occulto splendore del mondo. Mostrano che, nascosti nel dolore della vita e nella tragedia della morte, vi sono una possente magia e un luminoso mistero in grado di redimere l'avventura umana nel mondo."