sabato 12 marzo 2011

n.4[rumore di fondo] BATTLE FOR THE SUN: I PLACEBO SOTTO UNA NUOVA LUCE



Ti colpisce un Brian Molko un po' meno checca, forse un po' più imborghesito.
Poi inizia a cantare e ti accorgi che niente è cambiato: anche se un po’ invecchiato è sempre lui, insieme al suo timbro metallico e introspettivo, alla sua voce suggestiva e ammaliante.

La storia dell’ultimo lavoro dei Placebo, veterani di un genere Rock (che ormai fa storia da quindici anni) difficilmente inquadrabile e riducibile ad un aggettivo, non è povera di quegli aneddoti, di quei travagli e di quei colpi di scena che hanno da sempre consacrato l’uscita delle più importanti opere del genere.

La dipartita del batterista storico Steve Hewitt deve inizialmente aver avuto due conseguenze: per i cultori del gruppo, almeno una settimana sotto le coperte in compagnia di gelato e antidepressivi, per il mondo rock, la paura di non ritrovare più i vecchi placebo old-style: si temeva un gruppo riarrangiato, ormai privo di smalto.
In questo clima di ansie e rassegnazioni, pochi mesi prima della data fissata per l'uscita del nuovo album, i Placebo se ne vengono fuori sul loro myspace con quel pezzo affilato e prepotente che titola “Battle For The Sun”. I'estratto in anteprima dall’omonimo album ricorda subito il sound di Black Market Music e il testo è altrettanto cattivo: I placebo lo smalto se lo sono tolto grattandolo via a forza di riff di chitarra.
Il brano è però in realtà un sipario che si alza sulla nuova crew ed il video ne è la dimostrazione: quello che colpisce è quell’iniziale ed intrigante trotterellare di bacchette contro il rollante. È quell'inizio geniale, quel suono di ferro che tanto si sposa con quella voce indisponente e quel basso arrogante, che annuncia e presenta il nuovo componente della band Steve Forrest: un tappeto di tatuaggi con un ciuffo biondiccio incorniciante un mascellone che fa così American boy. Il ragazzo sicuramente risparmia sui vestiti (l'indumento più coprente che gli si sia visto addosso è stata una canottiera) ma non si serba certo le calorie, picchiando con energia sovraumana su quei tom. Drummer dalla tecnica e dal sound decisamente funky rock, con i suoi soli 24 anni ha regalato sicuramente una nuova primavera a una band che si temeva si avviasse verso i suoi “winters days”.
Ogni canzone dell'ultimo album risente di questa nuova carica, ogni attacco é fresco e riuscitissimo; i ritmi accelerano senza sacrificare la riflessività caratteristica della band. E intanto il ragazzo continua a battere come un disgraziato su quella batteria rendendoci ad ogni colpo di cassa più entusiasti.
L’altra faccia della medaglia del nuovo sound della band è costituita dalla presenza in molte canzoni degli archi: uno dei maggiori e riusciti ingredienti di svolta dal punto di vista musicale che, contribuendo anche alla poesia dei testi, dona alle bellissime quotes di Molko il potere di toccare l'animo dell'ascoltatore.
Una riflessione a parte la meritano quindi sicuramente i testi, dove fortunatamente si ritrova integra quell'introspezione difficile da decifrare tipica di Molko. Ancora una volta il cantante riesce a instaurare un legame empatico con l'ascoltatore ponendolo davanti alle sue ansie, i suoi rimorsi, le sue esperienze e le sue sensazioni. La Voce dei Placebo riesce ad arrivare alla camera dei segreti che ognuno di noi ha dentro di sè, attingendo la sua poesia da una materia a lui propria che arricchisce i brani di oscure allusioni e metafore rivelatorie; parti irrinunciabili di quei legami viscerali costituenti la sensibilità New Wave e decadente dei Placebo.

Un rapido ascolto.
Ci stordiscono subito con una track no.1 cattivissima, “Kitty Litter”, in cui si respira l'odore acre del desiderio che prende il controllo dei sensi; è una canzone che si sbarazza dei sentimenti e lascia il palco alla nuda e istintiva fisicità. I riferimenti alle divinità indiane e alla fortezza del cuore ci ricordano la poesia di Schopenhauer e ci fanno piacere sempre di più questa canzone .
L'album continua e supera l'unica caduta di stile costituita dal secondo brano "Ashtray Heart" (lascia perplessi il coro in spagnolo di sottofondo) consacrata da un video fastidiosamente trash. Basta però solo il capolavoro che è la parte conclusiva di “Speak in Toungues”, a farcelo dimenticare, appannandoci la vista per i lucciconi agli occhi; quei romanticoni dei Placebo riescono veramente a farti credere di poter "costruire oggi, un nuovo domani."
Si passa poi attraverso vibranti monologhi in “Julien”, recitati da farti accapponare la pelle dalla voce fuori campo di Brian che ci regala immagini pittoriche fortissime.
Ci acciecano luci splendenti nell'omonima “Bright Lights”, che si culla su un ritmo eccessivamente orecchiabile (troppo orecchiabile per gli standard ricercati a cui di solito si attiene la band), facendoci riflettere però sulle parole "a heart that hurts is a heart that works”.
Segue il rock incalzante di “Breath Underwather” alternato alle presenze disturbanti, che si trascinano avanti vellutate e insidiose, in “Devil In The Details”; mentre ritmi e controvoci gospel, insieme a tastierine giocattolo, sono sostenute da una base di solido rock alternativo a creare un mix accattivante in For What It's Worth (da notare il video in vero stile Placebo).

Il sound dell'ultima fatica dei placebo è frutto di un'evoluzione, di riflessioni che si aprono verso temi più ampi, risentendo comunque di quella “teenage angst” passata che ci ha fatto innamorare. Il messaggio dell'album è positivo, e per i placebo costituisce veramente un progresso. La battaglia per il sole che ci propongono è quella che ognuno di noi vive dentro se stesso ogni giorno e proprio per questo non possiamo essere immuni al fascino dell’album. Ma un ascolto più attento ci fa capire che in gioco, in questa battaglia per la luce, ci sono anche i propri valori (“don’t let them have their way”) contro un sistema che, in maniera antitetica, impone i propri (“there is no low we must obay”).
Ma spiegare il significato profondamente soggettivo di un’opera, svelarne i segreti e influenzarne l’interpretazione, costituiscono crimini imperdonabili e perciò mi fermo.
Lascio che questo lo faccia una molto piú eloquente eclissi riportata in copertina, assieme alle musiche e ai testi di quest'ultima opera targata placebo: Un'armonica suggestione di luci e ombre, chiari e scuri, una commistione geniale di testi accattivanti e di suoni impeccabili.
Prenderete così coscienza della battaglia in corso per la vostra anima.



I momenti più interessanti del “Battle For The Sun Tour”.
Live in Tokio 2010 (secret session)
Live at AngKor Watt 2009
Live at PinkPop 2009

4 commenti:

  1. Eh eh eh eh, sampiero... Iniziamo a riciclare vecchi articoli??
    Impegnati su keep it trash, che lo attendiamo tutti con ansia!
    Ps: Un albino mi ha suonato alla porta.

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  2. we bello, sono molto affezionato a questa mia creatura e poi (torno a dirlo) lo faccio per ampliare la vostra scarsa cultura musicale..almeno non mi invento cospirazioni religiose con funghi allucinogeni!!
    l'albino era inevitabile tom, l'hai fatta grossa..

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  3. Da oggi sappi che sei il mio idolo!

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